Un nome, una storia tutta italiana che dura da oltre cento anni. Proprio il 2019 è stato celebrato il centenario del drink più bevuto e “twisterato” al mondo.
Un drink che più che degustato,
andrebbe interpretato per quel che rappresenta.
Inventato per caso dal Conte Camillo Negroni di ritorno da un viaggio in Inghilterra. Durante una pausa in un giorno non meglio precisato tra il 1917 e il 1920, il Conte chiese al bartender Folco Scarselli del Caffè Casoni di Firenze di irrobustire il classico americano con qualche goccia di gin, riprova questa dei trascorsi londinesi.
Ebbe così origine la storia di un mito. Un drink che, nonostante le mode, non è mai invecchiato. Ha sempre mantenuto intatto il suo fascino. Da allora, periodo in cui si iniziò a bere il solito ”americano alla maniera del Conte”, nulla è cambiato.
Il pre dinner per eccellenza
Servito in tumbler glass raffreddato da cubetti di ghiaccio e impreziosito da una fettina d’arancia, già richiesta e desiderata all’epoca dallo stesso Conte, ha accompagnato intere generazioni durante tutti questi anni. Eppure dicevamo che non va solo degustato; va interpretato. Figlio di esperienze inglesi, inventato nella Firenze dei primi del Novecento, deve la sua fama alle città di Torino e Milano.
Non possiamo infatti dimenticare di parlare di bitter e di vermouth rosso e, dunque, di grandi aziende italiane. Rammentiamo brand come Campari e Martini, ma anche Cinzano che hanno costituito e continuano a costituire la base portante di questo cocktail che, evidentemente, reca in sè da ormai cento anni tutta l’anima italiana.
"Il Conte era un gran bevitore"
Tra le tante curiosità ricostruite storicamente da Luca Picchi, autore del testo “Negroni cocktail; una storia tutta italiana” evidenziamo una lettera di raccomandazione rivolta allo stesso Conte con la quale veniva esortato a non bere più di 20 Negroni al giorno. “Conforta” su questo punto un’intervista del ’62 dello stesso Folco Scarselli il quale affermò che: “Il conte era un gran bevitore. C’erano dei giorni che riusciva a inghiottire anche quaranta drink, eppure non lo vidi mai ubriaco”.
A difesa del Conte, però, dobbiamo anche ammettere che all’epoca non si vedevano i tumbler in cui vengono serviti oggigiorno la maggior parte dei drink. Piuttosto, era consuetudine utilizzare calicini da cordiale, presumibilmente da 3 o 5 cl.
È evidente dunque che con gli anni sono cambiati i bicchieri e molte sono state le modifiche apportate, anche per errore come nel caso del “negroni sbagliato” nato Al Bar Basso di Milano negli anni Sessanta quando il giovane bartender Mirko Stocchetto al posto del gin versò erroneamente dello spumante Brut, ma l’unica costante, spiega Picchi “è il Campari, ovvero il bitter, mentre sia il sapore del vermouth che del gin dipende fortemente dai botanical con cui sono aromatizzati”.
Drink aristocratico e corposo, a volte demonizzato per via della sua robustezza, fa della sua eleganza e raffinatezza il proprio biglietto da visita.
Concludendo, possiamo affermare che, nel tempo, il drink brevemente descritto è diventato un rituale, il cerimoniale della socialità italiana declinata in tutte le sue varianti. Dal fugace post office alla più impegnativa serata tra amici, passando per un veloce briefing professionale.
Non c’è nulla che un buon Negroni non possa risolvere.
Grazie Conte!
Pasquale BARBUSO
Appassionato del mondo food & beverage, curioso per definizione. L'ermeneutica il suo approccio.